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Bazzani: «Anche le belle storie hanno una fine»

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Bazzani: «Anche le belle storie hanno una fine»

Fabio Bazzani lascia la Samp dopo cinque stagioni. Anni intensi, pieni di ogni emozione: «E io devo ringraziare tutti quanti, società, compagni, allenatori… E soprattutto il pubblico».

18_festabazzani0203«Anche le belle storie hanno una fine». Le parole dell'addio le sceglie lui, e anche se la voce non trema il groppo in gola c'è. Niente rinnovo e niente rancore, solo la consapevolezza che era giunto per tutti il momento di chiudere qui: dopo cinque anni – belli, intensi, sofferti: comunque importanti – Fabio Bazzani saluta, ringrazia e se ne va.

Grazie a tutti. Arriva in sala stampa poco dopo le tre e mezza, si accomoda e un po' più in là sorride la sua gigantografia: la maglia, nella foto, è quella della promozione. Niente domande, l'emozione va sciolta affrontandola in faccia. «Comincio io perché oggi è la conferenza più difficile di tutti questi cinque anni…». Attacca così, sereno ma per forza di cose commosso. E non si ferma più: «Per la prima volta da quando sono qui ho chiesto io di poter venire a parlare e ringrazio la società che mi ha concesso di farlo, ma visto che ormai è chiaro a tutti che il mio rapporto con la Sampdoria sta per finire mi sembrava giusto esserci. Avrei voluto salutare domenica, allo stadio, ma il fastidio al polpaccio difficilmente me lo consentirà… Comunque, dopo cinque anni ci tenevo a ringraziare tutti quelli che mi hanno dato la possibilità insieme di fare grandi cose e allo stesso tempo capire che nel calcio c'è anche la sofferenza che ho vissuto io nelle ultime due stagioni. Il ringraziamento è per tutto ciò che vuol dire Sampdoria: la società, un allenatore che col suo staff mi ha dato tantissimo, i compagni di squadra… E poi il pubblico e specialmente la Gradinata Sud, che merita un capitolo a parte per quel che mi ha saputo dare… Non solo all'inizio, quando credo anch'io di aver ricambiato l'affetto dando tante gioie e soddisfazioni, ma anche quando tutti hanno capito quanto avevo sofferto e quanto lottavo per tornare un giocatore, per superare l'infortunio e le ricadute: non era più l'affetto per i gol, per i numeri, e un giocatore lo avverte quando la tifoseria gli è vicina. Ecco, è a loro che va il mio pensiero, il mio ringraziamento più grande. E poi grazie anche alla stampa, cui io per primo ho dato rispetto e dalla quale ne ho sempre ricevuto».

I miei cinque anni blucerchiati. Sono stati anni intensi, quelli di Fabio qui a Genova. I gol, la promozione, la Uefa, il sogno Champions League… Poi le ginocchia che cedono due volte, il dolore, la voglia di recuperare. Lui sceglie tre immagini: «Una ce l'ho chiara in mente – sorride -, ed è quella della gioia più grande. La festa per il ritorno in A, stupenda: eravamo sopra questo autobus, vedevo davanti a me un mare di tifosi con la gioia negli occhi e in corpo… Per me e per tutti quelli che c'erano quell'anno è stato qualcosa di pazzesco, capivamo di aver dato a dei tifosi che venivano da anni di sofferenze una gioia enorme. Quella stagione, con i tre derby vinti, abbiamo dato il via ad un ciclo importantissimo. Poi due rimpianti, che inevitabilmente in una cavalcata così lunga ci sono: quel maledetto gennaio, quando sono andato via, e quando dopo il primo infortunio mi sono fatto prendere dall'entusiasmo e mi sono rotto di nuovo… Dico rimpianti perché quando ho lasciato la Samp avrei dovuto essere più razionale, meno impulsivo: però sono fatto così, non so fingere. E una volta tornato in campo dopo la prima operazione avrei dovuto capire che sì, stavo bene, ma non ero in grado di giocare troppe partite… Un errore che ho pagato, perché in questi ultimi due anni avrei voluto dare di più, ma gli infortuni mi hanno condizionato: fisicamente e mentalmente. Ma una cosa è certa: nonostante le prestazioni altalenanti io questa maglia l'ho onorata fino all'ultimo».

Nazionale e infortuni. E' logico che molto di quel che Bazzani ha in corpo nasce dalla sofferenza di queste annate balorde, di tutti quei mesi spesi a recuperare, a sudare senza un camp davanti. Ed è altrettanto evidente come i suoi anni blucerchiati siano spezzati in due, lasciando perdere i mesi alla Lazio, da quel primo crack: «All'inizio con la Samp ho toccato il mio punto più alto – ricorda Fabio -, anche per questo ho ringraziato tutti. Sono arrivato, ho subito fatto bene in B e altrettanto al primo anno di A, ma se non ci sono un contesto e un ambiente giusto, se intorno tutto non ruota nella maniera migliore un calciatore non va da nessuna parte… Invece con l'aiuto di tutti mi sono guadagnato la nazionale, e di questo deve essere grato a chi mi ha permesso di esprimermi al meglio e di arrivare sin lì: il mio allenatore e i miei compagni… Poi c'è la seconda parte della storia, quando inizia il tunnel dell'infortunio e quando arriva la ricaduta: non si è mai più potuto parlare di quel primo Bazzani, purtroppo… E' sempre stato un percorso ad handicap, un recuperare continuo con la testa, i muscoli e il fisico intero messo sotto pressione dalla voglia di tornare alla pari con gli altri. Quando rientri è tutto entusiasmo, ma al momento di far venire fuori preparazione e condizione ti accorgi dei problemi… In due anni ho fatto quattro giorni di vacanza: e adesso ho bisogno di staccare, di non pensare di essere un giocatore costretto a lavorare dieci ore al giorno per tornare a posto».

Io e Francesco. Una pagina tutta speciale Fabio l'ha scritta e recitata insieme a Flachi: quando è arrivato erano dieci anni che Vialli e Mancini non giocavano più insieme nel Doria, insieme a Francesco ha ridato sogni e gioia a mezza città. Lui smorza il senso del paragone, pur godendoselo: «Se vi andate a rileggere le mie interviste di quel periodo lo dicevo chiaro, che Vialli e Mancini erano una coppia difficilmente avvicinabile per chiunque. Certo, io e Francesco nei primi due campionati insieme abbiamo fatto grandissime cose che penso siano e rimarranno negli occhi di tutti, ma i paragoni sono un po' ingombranti… Almeno per me: Francesco, com'è giusto che sia, per i tifosi della Samp è un discorso tutto a sé stante. Però è vero, abbiamo aperto un ciclo: e se l'anno prossimo tornerà una certa partita penso che i tre derby vinti in quel 2002/2003 torneranno alla mente…».

Ieri e oggi. «Ero un ragazzo, sono un uomo». Parole sue, di Bazzani. Che se ne va da Genova con una moglie e un figlio in più a condire il bagaglio umano di un calciatore che, è innegabile, ha segnato la storia recente del Doria. «Oggi sono forse più maturo ed esperto rispetto a quando sono arrivato – spiega lui -, d'altronde cinque anni ti cambiano… All'inizio era tutto rose e fiori, la A, la nazionale, poi lo sport e la vita ti mettono davanti a delle difficoltà che credo di aver saputo affrontare. Ora ho una famiglia e sono forte di un passato che mi fortifica e mi insegna ad apprezzare anche le cose più semplici».

La carriera, Alessia, la Samp. Torna ancora a «quel maledetto gennaio», Bazzani. Quando se ne andò a Roma, e la gente gli rinfacciava di voler solo stare vicino alla moglie. Oggi ne parla sereno, Fabio: «Credo che tutti quelli che pensavano male abbiano capito quanto in realtà mia moglie voglia e volesse anche allora solamente il mio bene, il meglio per la mia carriera: quella volta andò così, sono stato troppo impulsivo, ma lei non ci mise becco. Per dire, oggi Alessia a Chiavari sta benissimo e le pesa quasi di più tornare a Roma per lavorare che non il contrario… Ha fatto una scelta precisa e la cosa mi fa enormemente piacere, perché in tutti questi mesi difficili mi è stata di grande aiuto e so che sarà così anche in futuro. Ho sofferto per quel che leggevo allora, è vero, ma era vero in quel periodo ed è vero anche oggi: anche le belle storie hanno una fine. Salendo le scale per venire qui a parlare avevo il groppo in gola, perché cinque anni non si dimenticano… Cinque anni intensi, fatti di tanto amore, di rancore, di infortuni, di sofferenze: cinque anni bellissimi anche per questo. Normale non sia facilissimo, di punto in bianco, parlarne tranquillamente, ma è altrettanto normale che tutto abbia una fine».

Gli amici. Racconta ancora, Bazzani: «Quello con Francesco è un rapporto speciale che va oltre tutto e tutti, che rimarrà sempre, ma penso di aver avuto ottimi rapporti più o meno con tutti, qui alla Samp. Chiaro, cinque anni li ho fatti con Volpi e Palombo, oltre che con Flachi, ma anche quest'anno sono arrivate persone splendide».

Il futuro della Samp. Bazzani va via, allora, e lascia una Samp che ha voglia di rinnovarsi, di trovare nuovi stimoli e nuove direzioni. Nessun problema: «Ci sta che la società decida di fare una squadra giovane, peraltro i risultati della Primavera dimostrano che giovani interessanti ce ne sono e tanti… Merito anche di Novellino, che li ha portati con noi e ha fatto capire a tutti cosa sia una prima squadra. Romeo il mio erede? Come infortuni alle ginocchia ci siamo… A parte questo, un ragazzo che fa i gol che ha fatto lui quest'anno va tenuto d'occhio. Senza mettergli addosso pressione, a lui come agli altri giovani, ma nel giro di due-tre anni può diventare un giocatore impoirtante: ha voglia e fame, ha la testa giusta, non mi sembra possa perdersi da un anno all'altro. Per il resto non conosco le scelte della Samp, ma so che sicuramente farà il suo: i tifosi possono stare tranquilli».

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