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Tempi del charleston: al Museo Samp Doria la maglia più antica del calcio italiano

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Tempi del charleston: al Museo Samp Doria la maglia più antica del calcio italiano

Erano i tempi quelli dei lampioni a gas. Stravinskij a Parigi guardava un foglio bianco che sarebbe diventato L'uccello di fuoco. E a Milano, un gruppo di imprenditori lavorava all'apertura dell'Anonima Lombarda Fabbrica Automobili, l'ALFA. A Genova, invece, città di mare, avvezza alla contaminazione, si giocava a pallone. E lo faceva l'Andrea Doria, con il suo capitano Francesco Franz Calì. La cui maglia è entrata a far parte della collezione del Museo Samp Doria.

Orgoglio. «Pensare che questa splendida maglia ha compiuto 104 anni mi fa effetto –
ammette Maurizio Medulla, numero uno dell'associazione museale
blucerchiata e presentatore dell'evento 'Sampdoriani nel Mondo' -,
scatena un certo pathos. Possiamo dire con orgoglio che questa maglia è
la più vecchia casacca del calcio italiano attualmente in circolazione.
Abbiamo fatto delle perizie molto accurate, e per tutta una serie di
particolari possiamo datare nella prima metà del 1910. È un pezzo unico,
forse il più importante nel campo dell'oggettistica calcistica. E ora
fa parte dei 100.000 pezzi di cui si compone il Museo. Siamo
estremamente orgogliosi di tutto ciò».

Lavoro. Tempi lontani, impolverati
dagli anni. «Vi voglio raccontare un paio di aneddoti del calcio di inizio secolo – inizia Maurizio Calì, erede di Franz, di fronte alla platea arricchita da due spettatori d'eccezione come Pedro Obiang e Roberto Soriano -,
perché credo aggiungano valore alla storia di questa maglia. Ai
tempi di mio nonno, il calcio non era professionistico. Per cui gli
allenamenti andavano, per così dire, improvvisati. E allora capitava che
la sveglia fosse alle quattro e mezza del mattino, e che si facesse di
corsa la strada che da San Nicola, in Castelletto, porta giù a Borgo
Incrociati, con tanto di ritorno da corso Montegrappa. Così, per tenersi
in forma. E poi, chiaramente, dritti al lavoro».

Testimone. «Era tutto
diverso – continua di fronte agli occhi sgranati dei calciatori
blucerchiati -, basti pensare che le trasferte erano a carico dei
giocatori: erano loro a pagare. Oppure che i pranzi, quando si giocava
fuori casa si portavano da Genova, infagottati. E le scarpe? Mica erano
da calcio, erano scarpette da passeggio». Lustrini e tip tap, insomma. Un calcio diverso. Di cui questo ammasso ordinato di lana, compartito a quarti, è testimone chiacchierone. Piacevolissimo da ascoltare.

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