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20 maggio 1992. La vostra, la nostra Wembley

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20 maggio 1992. La vostra, la nostra Wembley

Centonovanta ricordi, centonovanta racconti. Alcuni un po' più lunghi, altri decisamente più brevi. Tutti comunque sentiti, scritti con passione, orgoglio, commozione. E per questo vi ringraziamo. Vi ringraziamo per quelle immagini indelebili, quei flash, quegli attimi, per sempre lì, mai sbiaditi, rinchiusi in un angolo del vostro cuore. 20 maggio 1992, 20 maggio 2012. Vent'anni di Wembley, vent'anni di Barcellona-Sampdoria, del punto più alto della nostra storia, abbiamo deciso di rivivere, di celebrare così, insieme a voi, attraverso Facebook. Impossibile sceglierne una, altrettanto impossibile metterle tutte in questo piccolo spazio telematico: delle numerosissime testimonianze ne abbiamo pubblicate sei. Eccole.

Alessandro Zappia: Ricordo
che non volevo vedere… mancava troppo poco ai calci di rigore. Lui che
sistema il pallone, io che abbasso lo sguardo… dalla nostra parte un
silenzio irreale… alzo gli occhi e li vedo esplodere… ma io comunque
c'ero… io con la mia Sampdoria…


Max Massimo: Può una
giornata triste essere ricordata come una delle più belle della tua
vita? Sì, se si è consapevoli della propria storia, fatta di salvezze
all'ultima giornata, di nomi sconosciuti, e poi, d'improvviso, come in
un sogno, a giocarti la finale della Coppa a Wembley, nel vecchio stadio
in legno… Noi non abbiamo perso una partita, consci della nostra
storia e consapevoli che quelli della mia generazione mai più vedranno e
vivranno una emozione cosi densa, fino all'ultimo. Noi abbiamo vinto
quella partita, perché siamo poveri, siamo gente di periferia, siamo una
squadra provinciale e lo sapevamo e lo sappiamo che tutto quel
fantastico sogno, che ogni tanto ritorna nella mente, è diventato realtà
per merito tuo. Grazie per sempre, Paolo Mantovani
.

Massimiliano Scorza: 11 anni
non compiuti, avevo. Ho ricordi un po' sfocati e "di bambino". Quello
che ricordo meglio è che quegli 11 campioni arrivarono a toccare il
tetto più alto d'Europa non certo per caso. Perché negli anni precedenti
le vittorie (tante) e le sconfitte, avevano segnato nell'ambiente
blucerchiato la piena consapevolezza di poter vincere contro chiunque.
Il resto, sono attimi. Invernizzi col sedere per terra a combattere su
quel pallone; la frase sentita, letta, risentita e riletti nei giorni
precedenti: "non bisogna concedere punizioni dal limite". E poi… arriva
lui, quello che tira le bombe. Il biondo olandese, che spacca la
barriera, la rete, il sogno reale di una generazione di Sampdoriani. Se
Pagliuca non avesse fatto quel saltino a sinistra… gli avrebbe spaccato
pure una mano. Spaccò tutto quel gol, tranne un concetto forte,
un'idea, qualcosa di incrollabile: lo stile della tifoseria
blucerchiata. Quello che negli anni ante e post Wembley tutti ci hanno
sempre riconosciuto in giro per l'Europa. Quello stile è – ancora –
sufficiente per andare avanti, anche inseguendo i playoff di B e non una
coppa con le orecchie.

Paul Aner: Ho da raccontarti
una storia che ti farà piangere e ti farà ridere, una storia uguale per
tutti ma diversa per ognuno.
È la storia di un sogno durato 114 minuti,
un sogno che dicono non si potra mai più rifare. Ma io chiudo gli occhi
e vedo sempre la stessa maglia color mare, di quel mare che
infrangendosi contro gli scogli trova sempre la forza di riprovarci.
(rubacchiata a Jim Morrison)

Luca Garbarino: In quei
giorni avevo vissuto il massimo che un sampdoriano traslocato a Londra
potesse sognare: una finale a Wembley, il vecchio mitico Wembley. Grazie
a mio cognato, vecchio amico di Domingo Arnuzzo, ero infiltrato
all'Hide Park Hotel dove soggiornava la Samp alla vigilia della finale.
All'epoca solo poche edicole vendevano la Gazza, una era nella City.
Arrivai nella hall dell'albergo, i miei eroi erano lì, sereni. Mi siedo
su una poltrona vicino al grande Vialli, mi guarda, mi chiede "È di
oggi?" rispondo "Sì!", eccitato gliela passo. La apre sfoglia due pagine
e mi chiede "Hai una siga?" "Certo!". Che bel momento, peccato che dopo
un attimo Vujadin passasse di lì e redarguì Luca (mi sentii in
colpa…). In quel fumo, dissipatosi solo dopo quella punizione di
Koeman, non mi son mai più risvegliato, mai ho voluto rivedere le
immagini di quel match. Ogni tanto entro ancora nella Hall dell'hotel
(oggi Mandarin) e cerco quella sedia..
.

Mauri Guanda: Quella
trepidazione cresceva da giorni in tutta la città, ovunque imperavano i
nostri colori. Si respirava un'eccitazione crescente, compravo tutti i
giornali sportivi perché avevo fame di notizie, soprattutto di quelle
che indicavano Vialli in partenza per Torino e alle quali non volevo
credere, né rassegnarmi. Avevo addobbato anch'io il mio grande terrazzo
che si affacciava sulla via, e ogni giorno scoprivo intorno nuovi
fratelli blucerchiati. L'orgoglio di essere arrivati in cima al cielo
del calcio, appariva un'emozione insuperabile che aumentò ancora
all'inverosimile davanti alla tv, alla vista di quanto era bello quello
stadio pieno dei nostri colori. Finalmente era arrivato il momento!
Genova sembrava si fosse fermata, tutti davanti ai televisori, amici e
nemici, le strade deserte e silenziose, i televisori accesi
trasmettevano solo la partita della storia. Il cuore batteva
all'impazzata, in mezzo ad un marito e ad un figlio milanisti che
finalmente, per la prima volta, tifavano insieme a me. Ma via via che
trascorrevano i minuti e vedevo Vialli, forse per l'ultima volta in
quella maglia, pensavo che mai avrei avuto un'altra occasione di vedere
la Samp così in alto, e continuavo a ripeterlo quell'orribile pensiero
che esplose nella realtà al gol del Barcellona. Le lacrime sgorgarono al
fischio finale e furono tante, irrefrenabili, amare, e ancora copiose,
dolenti, brucianti, cocenti, infinite. Come un anno fa. Due momenti di
dolore infinito. Ma oggi credo in questa Sampdoria, e penso che ci farà
asciugare quelle lacrime. Grazie Sampdoria, è meraviglioso amarti,
sempre e comunque!

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