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Colantuoni: «Mugnaini, mio padre e la mia vita blucerchiata»

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Colantuoni: «Mugnaini, mio padre e la mia vita blucerchiata»

Chiedi
chi era un personaggio blucerchiato, lui ti risponderà. Con garbo,
aplomb e competenza, come nel suo inconfondibile stile. Figlio del
presidente Mario – l'Avvocato di campagna in sella dal '68 al '73 – e
da un decennio dirigente del Settore Giovanile, Enrico Colantuoni è
una fucina di aneddoti sull'Unione Calcio Sampdoria. Dei tempi di suo
padre e non solo. Non c'è funzionario, allenatore o calciatore che
gli sfugga. E persino sui tifosi, da assiduo frequentatore di stadi e
di club, si dimostra ferratissimo. A maggior ragione se il tifoso in
questione si chiama Gloriano Mugnaini, colui che lunedì prossimo a
Certosa verrà ricordato in modo indelebile con l'intitolazione di un
largo a suo nome. «Mugnaini l'ho conosciuto bene e di lui non posso
che avere un bel ricordo – racconta Colantuoni -. Era una persona
simpaticissima, di grande arguzia e umanità. Sono felice per questa
intitolazione dovuta non soltanto ai suoi meriti di sampdoriano ma
soprattutto alla sua attività di medico amato in tutta la
delegazione».

"Se non soffro non mi diverto". Che sampdoriano era Gloriano Mugnaini?
«Era
un tifoso eccezionale, aveva sempre una parola d'incoraggiamento, a
maggior ragione nei momenti di difficoltà e a quei tempi ce n'erano
parecchi. Aveva una grande amicizia con mio padre, erano legati da un
rapporto di grande stima reciproca. Lo stesso che lo legava a Paolo
Mantovani, che ebbe l'intuizione e il merito di dedicargli il centro
sportivo di Bogliasco».

Un
ricordo personale?

«Mugnaini
non guidava e aveva una paura folle di andare in macchina. Qualche
volta mi capitava di riaccompagnarlo a casa. Io ho sempre guidato
piano ma lui, spaventatissimo, continuava a ripetermi: "Nu te pa'
de ana' un po' troppu forte
". Così lo invitavo scherzosamente a
scendere, lui ovviamente si rifiutava e poi finiva sempre tutto con
una risata».

Mancano
certe risate – e certi uomini – a questo calcio?

«All'epoca
tutto era più semplice. Non che non ci fossero problemi economici,
anzi. Ci si doveva arrangiare: noi puntavamo a restare in Serie A e a
mantenere buoni rapporti con i grandi club. Nel '66/67, ad esempio,
quando giocavamo in trasferta, mio padre, allora vicepresidente,
regalava Lanterne alle squadre ospitanti. Era una sorta di operazione
simpatia che tutti ci riconoscevano. Allora le relazioni erano più
vere, sincere. I calciatori trattavano i contratti direttamente col
presidente e lo facevano durante il ritiro. Ne ricordo uno a Cuneo,
con Frustalupi e Salvi a scherzare dopo gli incontri sui compensi con
mio padre».

Ruoli
istituzionali a parte, da dove nasce la passione blucerchiata di
Enrico Colantuoni?

«Sinceramente
non ho avuto alternative. I miei nonni materni erano di Sampierdarena
e i miei cugini sono stati soci fondatori della Sampdoria. Sono nato
sampdoriano: questi colori hanno sempre fatto parte di me, della mia vita e della mia
famiglia. Sarò tifoso sempre e comunque, come lo sono stato
soprattutto nelle difficoltà».

Tifoso, d'accordo, ma non solo…
«Sono anni, ormai, che faccio parte della dirigenza del Settore
Giovanile e per questo devo ringraziare il presidente Garrone. Avere
a che fare con i giovani è un qualcosa di entusiasmante perché ti
rendi conto della risorsa che possono diventare per la società. In
questo senso credo che un aspetto fondamentale sia l'affezione per la
Samp da parte di chi ci lavora: con Invernizzi e Massola possiamo
andare sul sicuro, così come su chi opera in sede dietro le
scrivanie. Di sicuro bisogna lavorare molto, ma sono convinto che il
nuovo organigramma tecnico possa darci delle grosse soddisfazioni».

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