Se n’è andato un sampdoriano. Ciao e grazie, Presidente
«Mai
una squadra di calcio». Al padre Edoardo rispose di sì. Fu quella,
forse, una delle poche promesse non mantenute in quasi settantasette
anni di vita. Li avrebbe compiuti dopodomani, il 23 gennaio, e
invece, Riccardo Garrone si è spento questa sera. Si è spento da
sampdoriano, prima tiepido, com'era da bambino, poi accanito, com'era
divenuto dall'inverno del 2002 e lo era rimasto, fino all'ultimo
respiro. La nostra squadra è un fatto di pelle, di cuore, e al
Presidente era entrata dentro presto, molto presto. Dal primo giorno
di quasi undici stagioni alla guida blucerchiata.
S'impegnò
per una parola data, da galantuomo qual era. S'impegnò in prima
persona per salvare la Sampdoria da una fine certa, per provare a
rifarla grande. Ci riuscì, riportandola in A al primo colpo, in
Europa, in Champions League. Poi – come in ogni grande passione che
si rispetti – non mancarono le delusioni, ferite ancora aperte, che
resero più dura la lotta contro la malattia. Ma non fiaccarono
l'animo del Presidente, il secondo nella storia per longevità e
traguardi dopo l'altro numero uno che accompagnò nei suoi trionfi
con tre lettere in fila cucite sul petto in stampatello.
Uomo riservato, marito,
padre, nonno. Uomo pubblico, imprenditore, industriale, dirigente sportivo. Noi
vogliamo ricordarlo semplicemente così, sotto la Sud. Con la sciarpa
al collo e le braccia al cielo. Vogliamo ricordarlo da sampdoriano. E
da sampdoriani ringraziarlo. Ciao e grazie, Presidente.