Palombo: «Fiero e orgoglioso di fare parte del progetto Sampdoria»
Da domenica pomeriggio le presenze in blucechiato sono 365,
tante quante Gaudenzio Bernasconi. Ora l'obiettivo malcelato si
chiama Fausto Salsano, quinto di sempre a quota 376. Difficile da
prevedere una simile prospettiva soltanto 365 giorni fa. Angelo
Palombo si guarda alle spalle, ma non solo. Anzi. Guarda soprattutto avanti. E torna a
parlare dopo mesi di silenzio. «Il momento più duro è stato
proprio un anno fa, quello in cui mi sono staccato da Genova –
racconta a cuore aperto il numero 17 dalla sala stampa del "Mugnaini" -. Come ho
sempre detto, non sarei mai andato via. L'ho fatto perché in quel
caso c'erano tutte le premesse per fare bene a me e alla Sampdoria.
Mi è stata chiesta una cortesia e, per il rispetto alla famiglia
Garrone alla quale devo tanto, ho accettato».
Nell'estate
dopo la retrocessione avevi rifiutato alcune offerte, tra cui la Fiorentina.
«Non
l'ho mai detto, ma se fossi stato nella società avrei detto a
Palombo "vai", più che altro per le cifre che c'erano in ballo.
Io però non volevo abbandonare la barca che affondava. Io, come
alcuni miei compagni, non ce ne saremmo andati. Non ce la facevo come
persona, anche se fosse venuto il Real Madrid».
Sei
rimasto, ma alla fine, dopo parecchie vicissitudini, sei finito in panchina. Per giunta in Serie B.
«Me
lo meritavo. Ce lo meritavamo un po' tutti a dire il vero, ma fare
fuori il capitano poteva dare una scossa maggiore alla squadra. Io ci sono
stato male, l'ho presa male, ero arrabbiato, però ho cercato di
allenarmi bene, senza cercare di fare problemi. La Sampdoria, in quel
momento, aveva bisogno di tutto fuorché di altri problemi».
E
infatti ti sei trasferito all'Inter. Cosa ti ha lasciato quell'esperienza?
«Posso
solo che parlarne bene. Ringrazio i compagni, il presidente Moratti
che è una persona strepitosa. Ho un buon rapporto con Ausilio, lo
sento ancora, Stramaccioni mi faceva i complimenti per come mi
comportavo e mi allenavo. Poi, si sa, un giocatore in prestito forse
fa meno gola rispetto a quelli di proprietài. E lì è stata un'altra mazzata: stavo
male per essere andato via di qui, dopo una ventina di giorni ho
iniziato a essere il nuovo Angelo, ma è diventato difficile dimostrare
qualcosa in tre partite e nemmeno 180 minuti».
Un'ulteriore
mazzata, come hai detto tu.
«Per
un periodo ho perso stima in me stesso. Quando si sta male, si vede
tutto nero. Era difficile potermi esprimere su buoni livelli come
avevo sempre fatto. Non so nemmeno io dove ho preso la forza per poi
ricominciare. Nei mesi scorsi sono state scritte tante cose che non erano vere, tipo che non me ne volevo
andare per una ripicca o che avevo smesso di giocare o che sono uno
scemo; cose
che mi hanno fatto rimanere male».
Se ci aggiungiamo che nel frattempo avevi pure perso l'azzurro…
«Già, essere
escluso dalla Nazionale mi ha fatto male e parecchio. Negli anni ho dimostrato di
essere un buon giocatore e di essere stimato da più commissari tecnici. Non sono arrivato là per caso.
Questa cosa mi distruggeva. Non potevo fare fatica in Serie B, ci
pensavo giorno e notte. Mi faceva star male e non andavo sereno in
campo».
Ti
sei dato una spiegazione a questa involuzione. Perché non eri più
tu?
«Ho
sofferto più del dovuto in tante situazioni. Dovevo stare più
distaccato. Tante volte prendendosela troppo non si riesce a dare
quello che si vuole. Dovevo
ragionare più con la testa che con il cuore. Però, come ha detto il
mio amico Daniele De Rossi riguardo alla Roma, io rifarei tutte le
scelte in positivo e in negativo per la Sampdoria. Non mi sono mai
pentito nemmeno per un secondo di non aver preso in considerazione
certe offerte sia sul piano economico sia, soprattutto, su quello
professionale».
Nemmeno
quando sei rimasto ai margini?
«La
scelta tecnica non la discuto: non sono rimasto per fare un dispetto
a società, a Sensibile, a Ferrara o ai miei compagni. Me ne sono
guardato bene. Sono rimasto perché sapevo che sarebbe arrivato il
mio momento».
Quest'estate
qualcuno ti ha cercato, ma hai scelto di rimanere.
«Sì,
ho avuto qualche offerta, dal Torino, dal Bologna. Dalla Russia ne è
arrivata una molto importante anche in termini economici. Ma mi sono
impuntato. Ripeto: non ero io quello dell'ultimo anno. Avevo voglia
di rivalsa personale: non era possibile che la storia con la Samp
dovesse finire così».
Non
è finita, infatti.
«Non
ho mollato, ho cercato di farmi trovare pronto. Se uno molla, quando
si presenta l'occasione fai fatica, magari sei sovrappeso o scarico. Per
evitare questo ho accettato di fare qualche partita in Primavera, ma
poi mi dispiaceva portare via il ruolo a un ragazzino e ho lasciato perdere. Sono le
motivazioni che mi hanno portato sino ad oggi: avevo voglia di rivalsa e questa è stata determinante».
Che
sensazioni hai provato al tuo ritorno al Doria la scorsa estate?
«Mi sono detto: male che vada mi giocherò il posto qui. Già
quello era uno stimolo che mi ha aiutato a vedere le cose in maniera
differente. Quando uno torna a casa e si sente a casa sta già
meglio. Ho
anche spalmato l'ingaggio per far vedere di essermi rimesso in
pista, in carreggiata, in discussione. Ho cercato di dare quel
segnale e di ripartire da decimo centrocampista, con la
consapevolezza di ricominciare in un gruppo che era tornato in Serie A.
Sono rientrato in punta di piedi come un giocatore normalissimo».
Ma una possibilità sul campo non ti è mai stata concessa.
«La
società paga e può fare quello che vuole. Quando si prende una
linea di condotta è giusto che si cerchi di mantenerla.
Secondo me, però, restare fuori dalle convocazioni anche delle amichevoli
era esagerato, sarebbe stato difficile per me trovare squadra senza mai vedere il campo. Ora non ci
penso più e non mi interessano certi discorsi: sono contento e voglio
migliorarmi. Ho 31 anni, sto bene e soprattutto sto bene
mentalmente».
Hai mai
pensato di mollare, di desistere?
«Nei
momenti delle esclusioni dalle amichevoli o di quando mancavano quattro o cinque
centrocampisti pensavo che non ci fosse più niente da fare. Era dura, ma me l'ero
cercata io e non mi sarei mai sognato di fare casino, anche per il
rispetto di Riccardo e di Edoardo Garrone, che con me si erano sempre comportati benissimo».
L'arrivo
del nuovo mister ha cambiato tutto.
«Delio
Rossi è stato subito chiaro. Prima
di parlare con lui avevo un po' di ansia, un po' di agitazione.
Pensavo: se questo mi dice che sono di troppo? Poi, per fortuna non è
andata così e da lì è finita la sofferenza, sportiva, sia chiaro:
nella vita c'è che soffre di cose ben peggiori. Mi sono liberato
come di un penso da dentro lo stomaco».
Cosa
ti ha detto al primo incontro?
«Mi
ha chiesto cosa volessi fare e mi ha assicurato che non esisteva
nessuna preclusione nei miei confronti: se meriti giochi, se non
meriti non giochi. Lo ringrazio, è un'ottima persona e non credo che
mi regali niente. È stato leale, trasparente e non mi ha nascosto
niente».
Ti ha cambiato ruolo però. Come
ti trovi in difesa?
«Mentalmente
sono un centrocampista e penso di esserlo ancora. Il mio ruolo è
quello e il mister lo sa. Ora c'è bisogno in difesa e mi adatto a
fare il difensore, anche perché tornare a giocare è già stato un
bel sogno realizzato. A tre o a quattro è indifferente, forse si
riesce a leggere meglio le giocate a tre, ma cambia poco: dietro si
lavora comunque di più sotto l'aspetto dell'attenzione. Fisicamente
poi faccio meno fatica e questo forse è stato un bene per recuperare il
ritmo-partita. Da un lato fare più ruoli è positivo, è una
soluzione in più che posso giocare a mio favore, ma, ripeto: sto
bene e a centrocampo potrei correre come facevo prima».
Ti
sei preso una rivincita nei confronti di chi non ha creduto in te?
«La
rivincita l'ho presa con me stesso. Umanamente mi dispiace per chi è
andato via: so come ci si sente a essere esclusi. Rivincite non ne
voglio: voglio fare il bene mio e soprattutto quello della Samp, come
ho sempre cercato di fare».
Problemi
con la gente comune ne hai mai avuti in questi mesi?
«Per
strada non c'è mai stato qualcuno che mi abbia detto qualcosa in
negativo. Non so se facessero finta o meno, ma "vattene" non me l'ha
mai detto nessuno. Le critiche e le malignità, siamo essere umani, è normale che ti facciano rimanere male, soprattutto nei confronti di chi, come me, si è sempre comportato con
rispetto. Di sicuro, ho capito che la gente non si era dimenticata di me: sentire il coro al mio ritorno con la Lazio è stata
un'emozione bellissima».
Sembra
passata una vita dalla mancata convocazione per Bardonecchia.
«Mi
avevano chiesto la cortesia di rimanere qui, andare su in ritiro poteva
alimentare qualche polemica. Ho accettato tranquillamente di allenarmi a Bogliasco, pur di non
creare problemi alla Samp. E ci tengo a dire una cosa a riguardo: quando sono rientrato in gruppo, i miei
compagni mi hanno fatto sentire subito uno di loro. Questa mia gioia
per le ultime vittorie della Samp e per il mio ritorno è anche
merito loro e con loro voglio condividerla».
Ci
pensi alla fascia da capitano?
«Chi
va a Roma perde la poltrona. È normale: io sono andato via, Gasta è
diventato capitano e sono tornati in Serie A. Io la penso così:
meglio in A senza Palombo che in B con Palombo. In questi mesi si
sono creati equilibri e sarebbe poco intelligente pretendere la
fascia. Uno le cose se le deve guadagnare. Sempre onorato di averla,
ma ora è l'ultimo dei miei pensieri».
Un
pensierino alla Nazionale?
«Tornare
in azzurro sarebbe come ricevere la prima convocazione, come tornare
bambino: sarebbe una felicità enorme. Da difensore? Mai dire mai, se
uno sa ricoprire più ruoli ha più possibilità di rientrare in un
contesto. Adesso però pensiamo a salvarci, a fare più punti
possibili e poi vediamo cosa succede».
Dopo
il 6-0 sul Pescara, guai a rilassarsi in vista di sabato. Concordi?
«Dobbiamo
essere contenti, è stato bello potere dedicare quel risultato al
Presidente e alla sua famiglia. Ma sappiamo che basta poco per
tornare giù e lo si è visto a Siena. La partita di domenica scorsa capita
una volta ogni trent'anni, dobbiamo dimenticarla ricordandoci soltanto il modo in cui l'abbiamo affrontata. Lo scontro col Torino non sarà determinante,
però se giochiamo da Sampdoria possiamo fare bene. Se siamo tutti
a mille possiamo giocarcela contro chiunque».
Cosa
ti hanno lasciato questi mesi?
«Ne
sono uscito fortificato e migliorato, come giocatore ma soprattutto
come uomo. Ho migliorato il carattere, ho cambiato in un certo senso il modo di ragionare. I
miei errori li ho sempre fatti ma sempre in buona fede. Mi dispiace
di aver perso un anno di partite con la Samp, ma ho imparato a
conoscere anche tanta gente. Questo è poco ma sicuro».
Ora
cosa provi?
«Posso dire di
essere fiero e orgoglioso di fare parte del progetto Sampdoria, del
presente e del futuro. Chiudere la carriera qui è sempre stato il
mio desiderio. Cercherò di aiutare la società a far crescere i
ragazzi più giovani, dobbiamo continuare su questa strada. Ho
ancora tanta rabbia dentro da tirare fuori sul campo».