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Mihajlovic si racconta a Sky Sport24: «Sembro un orso ma ho pianto per la mia Samp»

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Mihajlovic si racconta a Sky Sport24: «Sembro un orso ma ho pianto per la mia Samp»

«Come
si vive il Natale a casa Mihajlovic? È un bel casino a casa
Mihajlovic, con un sacco di figli… Si cena, si mangia e si
beve si sta tra parenti. E poi c'è mia moglie che in
ogni stanza piazza un albero di Natale: è una fanatica. Diciamo che c'è una bella atmosfera, ci si diverte e
si sta bene». Papà Sinisa pensa al Natale di oggi ma non dimentica quelli di ieri, non può dimenticare i sacrifici per arrivare al successo. Intervistato in esclusiva da Sky Sport24, l'allenatore della Sampdoria si racconta dentro e fuori dal campo. «Per
la vita che ho fatto io – dice -, per quello che ho passato sono cresciuto
molto presto. Sicuramente sono maturato prima del tempo. Alcune esperienze mi hanno fatto male ma hanno fatto sì che diventassi una persona
leale, che rispetta tutti e che non dimentica mai da dove è
partito».

E da dove è partito Sinisa Mihajlovic? Com'era il Natale in Jugoslavia?
«Vengo
da una famiglia che non si poteva permettere grossi regali, al
massimo stupidaggini o dolci. Mi ricordo che quand'ero piccolo mia
madre mi regalava banane, io ne ero ghiotto. Ne dava una a me e una
mio fratello. Poi mio fratello era più giovane e ogni tanto gli ne
rubavo mezza a lui. Per questo mi ripetevo: un giorno, quando
diventerò ricco, mi comprerò un camion di banane e me le mangerò
tutte da solo».

Fame metaforica e non solo.
«Ero
uno
che aveva fame in ogni ambito e l'unico modo per emergere era giocare a calcio. Ora
vedo i miei figli o anche i miei ragazzi: come dice Mazzone non hanno
fame. A 18, 20 anni hanno tutto e se non hanno la testa faticano a
trovare gli stimoli. Io la prima partita con la nazionale slava l'ho
fatta con i tacchetti da rugby. Avevo 15 anni e ho dovuto tagliare un
tacchetto visto che quelle scarpe che mi avevano prestano ne avevano
sette. Adesso i miei figli avranno 10 paia di scarpe da calcio… La
vita è così: mi ha aiutato a diventare quel che sono e quel che
sono spero di trasmetterlo ai miei figli».

Quanto è stata importante la Sampdoria nella sua crescita professionale?
«Sono
stato quattro anni alla Sampdoria e sono stati anni bellissimi dopo
un periodo a Roma difficoltoso per me. È stata una piazza ideale, mi
hanno dato fiducia e mi sentivo ancora in debito, tanto è vero
che quando nel 2013 è arrivata la proposta del presidente Garrone ho
accettato subito. Non pensavo a quello che la Sampdoria potesse fare
per me ma a quello che io potevo fare per la Sampdoria. Adesso le
cose stanno andando bene: spero che dopo l'anno scorso e dopo
quest'anno, che mi auguro finisca ancora meglio, di aver pareggiato i
conti. Forse sarò anche un po' in credito ma io sono una persona che
i debiti cerca sempre di saldarli».

Che valore dà alle citazioni che caratterizzano le sue conferenze stampa pre-partita?
«Io
sono uno che parla chiaro, anche con i giocatori. Se dico una cosa
bisogna che la faccia. Loro mi conoscono e sanno che come mentalità,
personalità noi serbi siamo più duri degli italiani. Il mio tono di
voce può sembrare minaccioso anche se non lo è, mi serve da stimolo
per lo spogliatoio, sia pubblicamente sia, soprattutto,
individualmente. Qui ho un gruppo di bravi ragazzi e di ottimi
giocatori, ma non sono tutti uguali: ad
ognuno va data la medicina giusta a seconda del carattere e delle
sensibilità. Da un anno a
questa parte siamo cresciuti molto sotto ogni punto di vista e stiamo
progredendo ulteriormente. Credo in loro, siamo sulla buona strada. Ok la tattica, la tecnica, la corsa, ma
nel calcio conta la testa: se entri nella testa dei tuoi giocatori
metà del lavoro è già fatto».

C'è un frase che è rimasta dentro a lei ma anche ai suoi calciatori?

«Qualche
volta ho chiesto loro di giocare una partita per me. Lo hanno fatto e
hanno vinto. Ero contento, emozionato. Mi sono venute le lacrime agli
occhi, ero orgoglioso di loro e se ne sono accorti. Io sembro un orso
ma sotto sotto sono sensibile e non ho paura di farmi vedere
emozionato. Come non ho paura di espormi a livello comunicativo: mi
piace prendermi responsabilità e mi piace responsabilizzare i miei
ragazzi».

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